Storie di un’Italia nascosta
Questa è un’altra storia nascosta e noiosa.
Troppo densa per essere raccontata e compressa in poche righe.
Una storia che ho provato a scrivere almeno dieci volte ma il racconto si è fermato perché sempre nuovi fatti si sono sovrapposti intrecciandosi ed aumentando il loro insostenibile peso.
La storia nasce con la passione di un lavoro e finisce con la morte civile rappresentata dall’amministrazione(?) della nostra Giustizia. Per il piccolo imprenditore, solo rivolgersi al Tar comporta spese enormi che raramente sono giustificate dal valore dell’appalto e, beffa delle beffe se, alla fine dopo 5-6 anni, risulta vincitore gli viene riconosciuto un risarcimento pari al 10% del valore della commessa, sempre che il Tribunale non decida di compensare le spese.
Le nuove norme anticrisi, che escludono la sospensiva, ossia l’aggiudicazione in attesa dell’esito del ricorso, sembrano un invito a truccare gli appalti, tanto chi farà più ricorso per ottenere, alla fine di un costoso iter, solo un minimo risarcimento?
Oggi chi vuole aggiudicare l’appalto ad un amico può tranquillamente violare le norme e far eseguire il lavoro, al massimo pagherà, se pagherà, solo il 10% della commessa.
Per l’impresa seconda classificata, l’unica che avrebbe interesse a controllare diventa praticamente impossibile ottenere la verifica del rispetto delle norme di gara da parte dell’aggiudicataria e ciò rende possibile qualsiasi pastrocchio.
Ancora peggio è rivolgersi al Tribunale Penale, anche di fronte a prove inconfutabili le probabilità di veder sanzionati i reati prima della prescrizione sono quasi a zero.
Questo è ciò ho imparato sulla pelle mia e della mia piccola azienda.
Troppo piccola per reggere il peso di un’azione giudiziaria, amministrativa e penale, insostenibile.
Una storia troppo noiosa, infatti, che risparmio, accennando solo un elenco dei procedimenti, conclusi o in corso, che hanno coinvolto me e la mia ditta solo per un insopprimibile desiderio di legalità e giustizia.
12 ricorsi amministrativi, 9 procedimenti penali avviati, come persona offesa; 6 processi subiti per querela di diffamazione o calunnia, 18 procedimenti d’appalto con irregolarità riscontrate. Perché tutto questo?
Perchè un giorno, forte di prove inconfutabili di reati come il falso in atto pubblico e violazione del segreto d’ufficio ho deciso di avviare un’azione penale illudendomi potessero venire sanzionati con pene di Giustizia.
In Italia esiste, eccome, certezza della pena. Si chiama “Processo” la pena che la nostra scalcinata giustizia infligge indistintamente sia agli indagati che alle persone offese.
Se l’amministrazione della Giustizia fosse un’impresa, tutti sono portati a pensare che la sua “mission”, come si usa dire, sia il rispetto della legge ed il risarcimento delle parti lese.
Errore.
La macchina della giustizia italiana ha solamente cura della sua materia prima, il reato, e dei suoi produttori.
Basta frequentare le nostre Aule Giudiziarie per rendersi conto di una realtà artificiale lontana dai fatti.
Io temo che la politica non voglia riformare la giustizia perché alla politica conviene una giustizia lenta, inerte, inefficiente: in fondo innocua. E quelli che speravano un giorno di poter vedere scoprire in anticipo un concorso o un appalto truccato con l’estromissione dei disonesti dagli uffici pubblici, sono solo dei poveri cretini.
L’organizzazione dei lavori e delle forniture pubbliche è ormai stabilmente congegnata in modo che se non ti sei fatto “amico” di qualcuno, devi chiudere bottega.
Ho un’enciclopedia di esempi di mia diretta conoscenza e di colleghi che si sono confidati, implorandomi di tacere i loro nomi per il bene delle loro aziende.
Questa è l’Italia, e non è nascosta. Ma non è la mia.
Fanculo.