P3, per i pm anche Verdini è un corrotto
P3, per i pm anche Verdini è un corrotto
Dopo un anno Capaldo chiude le indagini: 100 mila euro al senatore siciliano; 800 mila euro per il coordinatore nazionale e il coordinatore regionale della Toscana Massimo Parisi, sono le mazzette del Pdl per l’energia eolica in Sardegna
Le mazzette del Pdl per l’energia eolica in Sardegna sono ora scritte su un documento ufficiale della Procura di Roma: 100 mila euro al senatore Marcello Dell’Utri; 800 mila euro per il coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini e il coordinatore regionale della Toscana Massimo Parisi. Il Pdl esce a pezzi dall’avviso di chiusura indagine notificato ieri ai venti indagati dell’indagine P3 dal pm Giancarlo Capaldo.
Nell’atto che prelude a una richiesta di rinvio a giudizio ci sono anche le manovre del coordinatore del Pdl in Campania, Nicola Cosentino, per mettere una toppa al suo procedimento giudiziario in Cassazione e poi per ottenere a beneficio del sindaco di Pontecagnano, Ernesto Sica, un passo indietro dall’allora candidato alla Regione, Stefano Caldoro. Per i dossier a sfondo sessuale contro il (teoricamente loro) presidente della Campania, Sica e Cosentino presto dovrebbero ricevere una richiesta di rinvio a giudizio per violenza privata e diffamazione.
La chiusura delle indagini sull’associazione segreta denominata P3, arriva con una tempistica anomala. A più di un anno dagli arresti di Pasquale Lombardi, Arcangelo Martino e FlavioCarboni, dopo le polemiche di Capaldo con i colleghi napoletani che lavorano sulla P4, nel pieno della bufera mediatica per le sue frequentazioni spericolate e dopo la comunicazione di una proroga delle indagini pochi mesi fa, Capaldo, in pieno periodo feriale, chiude finalmente l’inchiesta clamorosa della quale da mesi nessuno parlava più. L’avviso di chiusura indagine finalmente chiarisce cos’è, nella visione del pm, la P3. Un’associazione segreta che da un lato funziona come una lobby prezzolata dagli imprenditori romagnoli dell’energia e dall’altro un vero e proprio braccio occulto degli affari sporchi nel settore giudiziario che interessano uomini del Pdl.
Gioco forza, emerge con più nitidezza il ruolo dei due politici che – secondo il pm – facevano parte della P3: Denis Verdini e Marcello Dell’Utri. Basta leggere le accuse contestate per capire che a comandare davvero nella P3 non erano certo Lombardi, Martino e Carboni. Non erano loro a essere interessati a “influenzare la decisione della Corte costituzionale nel giudizio di legittimità dellodo Alfano”. Se “intervenivano ripetutamente sul vicepresidente e sui componenti del Csm per indirizzare la scelta di candidati a incarichi direttivi come il presidente della Corte di appello di Milano”, proprio quella che doveva decidere sulla sentenza da 750 milioni del Lodo Mondadori, non lo facevano certo a beneficio proprio. Ma di quel Cesare, così evocato nelle intercettazioni, che all’anagrafe fa Silvio Berlusconi.
Nell’avviso di chiusura dell’inchiesta P3 sono ricostruite anche le manovre per influenzare il corso delle elezioni regionali in Lombardia (ma Roberto Formigoni non è indagato) o la nomina del presidente della Corte di appello Alfonso Marra, anche lui non indagato. Per tutte le manovre sulle alte Corti ricostruite dai Carabinieri di Roma resta indagato a fine indagine solo l’ex presidente della Cassazione Vincenzo Carbone. L’atto del pm Capaldo è giunto in un giorno drammatico per l’economia italiana e può tornare utile per capire come funziona davvero “il sistema Italia” e le ragioni della sua crisi. Tra la fine del 2009 e i primi mesi del 2010, mentre negli Stati Uniti Barack Obama lanciava il piano energetico basato sulle energie rinnovabili, la cosiddetta “green economy”, anche in Italia un fondatore e il coordinatore del primo partito nazionale lanciavano la loro risposta. La variante di Verdini e Dell’Utri potrebbe definirsi meglio “grey economy”.
Stando all’avviso notificato ieri dal pm Giancarlo Capaldo, l’economia del vento nell’Italia di Berlusconi funziona così: i rampanti romagnoli Alessandro Fornari e Fabio Porcellini, con la loroSardina Renewable energy project vogliono agguantare il vento sardo. Mentre in America si privilegiano le aziende che sanno far girare le pale in Italia puntano su quelle che fanno girare le mazzette. I romagnoli pagano 6 milioni di euro a Flavio Carboni, un signore condannato per bancarotta e indagato per omicidio (poi assolto) che gode di grande credito nei vertici del primo partito italiano. Carboni, secondo i calcoli del pm Capaldo, gira 800 mila euro ai deputati toscani Verdini e Parisi, che li usano per saldare i debiti del loro giornale. Mentre 100 mila euro, metà in assegni, finiscono nelle capienti tasche del senatore palermitano, già condannato in appello per concorso esterno in associazione mafiosa. Se Oltreoceano gli impianti sono distribuiti nelle zone più ventose, secondo un piano stilato da un’Autorità indipendente, in Sardegna alla guida dell’Agenzia Regionale per l’Ambiente, l’Arpas, grazie alla sponsorizzazione di Verdini e Dell’Utri (che poi passano all’incasso) va un amico di Carboni, tale Ignazio Farris, per il quale Capaldo si appresta a chiedere il giudizio per corruzione: in cambio della promessa di denaro, e magari di un lavoro domani nelle società private dei romagnoli, si impegna in loro favore con piani, regolamenti e informazioni utili nel settore eolico e in quello delle bonifiche. Ovviamente le turbine non andavano sui terreni migliori per produrre più energia a beneficio del sistema paese ma in quelli comprati dal solito Flavio Carboni che così guadagnava due volte: la prima come mazzettiere dei politici e la seconda come imprenditore dell’energia eolica.
Nell’avviso di chiusura delle indagini notificato ieri ai venti indagati escono di scena (almeno per ora) il sottosegretario Giacomo Caliendo e l’ex presidente della Corte di appello di Milano Alfonso Marra, che non risultano indagati. Migliora nettamente anche la posizione del presidente della Sardegna Ugo Cappellacci, per il quale, con grande soddisfazione dei difensori Alessandro Diddi e Guido Manca Bitti, cade ogni contestazione a parte un abuso di ufficio per la nomina di Farris.
di Marco Lillo e Rita Di Giovacchino