Archive del 2012
LIBERIAMOCI DA MAFIE E CORRUZIONE!
Ritorniamo ancora una volta a sottolineare l’importanza di promuovere, far conoscere e spronare a iscriversi al MASTER DI ANALISI, PREVENZIONE E CONTRASTO DELLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA E DELLA CORRUZIONE dell’Università di Pisa, diretto dal prof. Alberto Vannucci, autore in particolare de “L’ATLANTE DELLA CORRUZIONE”, ed. Gruppo Abele, 2012, che vi consigliamo caldamente di leggere e regalare o suggirire a potenziali lettori perché illuminante su questo fenomeno che ci devasta.
Domani, giovedì 22 novembre, è l’ultimo giorno disponibile per le pre-iscrizioni (occorre semplicemente pagare tramite MAV i 60 euro di tassa prevista dall’Università). Perciò chiediamo a chi fosse interessato di affrettarsi a formalizzare questo passaggio!
Sappiamo infatti che anche quest’anno è stata raggiunta la quota minima di pre-iscrizioni che garantisce l’avvio della 3a edizione (da gennaio).
PERCHE’ ISCRIVERSI AL MASTER O SOSTENERLO?
Perché nei sei mesi di formazione specialistica si formano i professionisti del futuro che si potranno dedicare a queste tematiche: giornalisti, ricercatori, insegnanti, educatori, politici, amministratori, animatori, artisti…
Da queste persone passa la “liberazione” dai 2 peggiori mali dell’Italia: le mafie e la corruzione, appunto! Che dite, ne vale la pena? Secondo noi, sì!
E inoltre, per sostenere le future edizioni del Master CHIEDIAMO AI NOSTRI GOVERNANTI E AI NOSTRI AMMINISTRATORI DI FINANZIARE NUOVE BORSE DI STUDIO E ANCHE DI ISCRIVERE I PROPRI DIPENDENTI E FUNZIONARI PUBBLICI in modo che si formino su argomenti scottanti ma indispensabili per chi lavora nelle Istituzioni.
IL BILANCIO DEL MASTER 2011-12 RACCONTATO DAL DIRETTORE PROF. ALBERTO VANNUCCI
<<Grazie a una severa “spending review” il master APC presenta nel bilancio 2011/12 un robusto attivo, che sarà reinvestito integralmente in borse di studio, miglioramento dell’offerta didattica on-line e progetti specifici (in particolare la realizzazione di una banca dati di atti giudiziari in procedimenti legati a crimine organizzato e corruzione). Le spese ammontano a circa 60mila euro, di cui 23mila per compensi ai docenti, 10mila per spese di missione docenti, 12mila per il contratto del manager/tutor d’aula, 2400 per attrezzature (server, videocamera, pc e microfono necessari all’e-learing), 2000 per finanziare parzialmente una borsa di studio, 8000 come quota obbligatoria da versare all’Ateneo e alle strutture centrali dell’Amministrazione.
Sul versante delle entrate abbiamo invece 43000 euro dalle quote versate dai 19 studenti ordinari, 160 euro da uditori, 35000 da borse di studio di enti locali e associazioni.>>
Siamo certi di poter contare sul vostro aiuto nel promuovere e far conoscere l’esistenza del Master ancora una volta. GRAZIE PER LA CONDIVISIONE!! :)
UN “SEMAFORO ETICO” PER UNA POLITICA VIRTUOSA
La collaborazione tra Signori Rossi e Comuni Virtuosi promuove storie esemplari per migliorare l’Italia
L’associazione Signori Rossi – Corretti non corrotti e l’associazione Comuni Virtuosi hanno in comune due caratteristiche importanti.
Intanto, la finalità della promozione della cultura etica – intesa come trasparenza, efficienza, competenza, lungimiranza della gestione – nella pubblica amministrazione.
E poi le storie esemplari di persone virtuose: sia quelle testimoniate dai cittadini che si sono battuti per combattere la corruzione, che praticano nel proprio quotidiano il valore della correttezza come scelta di vita e che pretendono senso etico nel governo dei propri territori; sia le storie di sindaci e amministratori virtuosi che hanno già sperimentato modi etici, sostenibili e lungimiranti di governare.
I Signori Rossi e i Comuni Virtuosi hanno annunciato una collaborazione reciproca lo scorso settembre a Corchiano (Vt), in occasione del Premio annuale dei Comuni virtuosi. Adesso lanciano l’iniziativa “SEMAFORO ETICO – PER DARE UN SEGNALE. Storie esemplari di sindaci virtuosi”, anticipata in un video dal musicista e premio Oscar Nicola Piovani: “Aspettando…SEMAFORO ETICO” .
Il semaforo è il simbolo adottato dal movimento Signori Rossi per rappresentare il “rispetto delle regole”, necessario per la convivenza sociale (e civile): indica che cosa si può fare – cui dare “Via libera”, invitando ad andare “Avanti” –, perché consente il progresso della società, e che cosa invece evitare – cui dire “Basta”, imponendo uno “Stop” – perché solo centrato sull’interesse personale danneggiando la collettività.
Oggi sono oltre 60 i Comuni Virtuosi che si scambiano buone pratiche per un’amministrazione e una politica migliore, attenta davvero all’interesse di tutti: cittadini, nuove generazioni, ambiente. Il “SEMAFORO ETICO” mira a rendere accessibili e visibili queste buone prassi, presentando di volta in volta l’esperienza di diversi sindaci attivi in Comuni di tutta Italia. Come Luca Fioretti, primo cittadino a Monsano (An) e presidente dell’associazione Comuni Virtuosi.
L’invito che rivolgiamo alla rete di cittadini e amministratori vicini ai Signori Rossi e ai Comuni Virtuosi è di diffondere queste videotestimonianze per far conoscere le storie e costruire esempi e modelli da seguire.
Le persone mosse da senso etico sono la maggioranza in Italia (“Sei un Signor Rossi?” “ADERISCI!”), abbiamo scelto di “manifestarci” (“MI MANIFESTO!” )
E ancora una volta usciamo allo scoperto per chiedere ai nostri governanti politiche virtuose, diventando così parte del network di eccellenza dei Comuni Virtuosi.
Signori Rossi e Comuni Virtuosi
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ASPETTANDO…
il “SEMAFORO ETICO” (PER DARE UN SEGNALE!) – Storie esemplari di sindaci virtuosi
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“CHIUSO PER SPRECO vs APERTO PER CREATIVITÀ”
Signori Rossi – Corretti e non corrotti (www.signorirossi.it)
e Paratissima (www.paratissima.it)
presentano:
“CHIUSO PER SPRECO vs APERTO PER CREATIVITÀ”
Le serrande abbassate in un quartiere di Torino non sono il segno sofferente della crisi, ma rappresentano l’inefficienza e la propensione, spesso inconsapevole e talvolta incompetente, delle Istituzioni. L’Inps chiede 1 milione e mezzo di euro di cauzione per allestire una mostra della durata di pochi giorni in 5 locali di 30 mq circa l’uno (circa 10mila euro al metro quadro), per di più sfitti e trascurati da anni.
Gli organizzatori dell’evento artistico Paratissima, insieme ai Signori Rossi, lanciano una campagna di sensibilizzazione per “invitare” le Istituzioni a cogliere le opportunità di valorizzazione, specie quando queste provengono dai cittadini e non richiedono “costi pubblici”
A Torino PARATISSIMA – www.paratissima.it – è un evento “vetrina” per la “creatività emergente” (arte, design, moda, video, musica): giovani artisti e creativi possono promuoversi in spazi “alternativi” ai sistemi istituzionali di visibilità. Negli anni Paratissima si è insediata in alcuni quartieri di Torino (per esempio San Salvario) portando creatività e forme artistiche in svariate location: negozi, botteghe, cantieri, palestre, cinema, cortili. E in spazi e locali sfitti.
Per l’edizione 2012 (7-11 novembre) Paratissima si sposta in un quartiere torinese non centrale e piuttosto “trascurato”: Borgo Filadelfia. Luogo caratterizzato da serrande abbassate da anni, ormai diventate sfondo abituale, quotidiano, di un territorio che sembra aver vissuto la crisi prima della crisi.
Gli organizzatori di Paratissima sono autentici “Signori Rossi”: mossi da senso etico e interessati allo sviluppo del territorio e alla rigenerazione urbana, alla creatività applicata al sociale e alla collaborazione trasparente con le Istituzioni. Tutti tratti in comune con molti di noi. Pensano che utilizzare quei locali (se pure solo temporaneamente), aprendo le serrande abbassate da anni, sia quanto di meglio si possa fare. Significherebbe valorizzare dei luoghi abbandonati e inviare un messaggio positivo per contrastare il declino cui molti abitanti della zona si sentono condannati.
Così si sono attivati per contattare i proprietari di quei locali sfitti (in tutto 5, per un totale di circa 150 mq), trascurati da molti anni, sporchi, le pareti incrostate, i pavimenti bucati. Dopo il sopralluogo l’informazione che mancava: tutti quei locali sono di proprietà dell’Inps, ente statale, perciò “dei cittadini”. Quale migliore occasione, dunque, per occuparsi di quei locali: ripulirli (spese e “braccia” a carico dello staff di Paratissima), riutilizzarli e valorizzarli (evitando uno spreco di denaro e patrimonio pubblico)?
E a proposito di sprechi, c’è dell’altro: gli organizzatori di Paratissima hanno scelto il quartiere per occuparsi di quello che un tempo era il MOI (cioè, un tempo, i Mercati Ortofrutticoli all’Ingrosso) e oggi diventato “Villaggio Olimpico”. Un enorme e straordinario complesso architettonico che, dopo le Olimpiadi del 2006, è stato completamente abbandonato. Si tratta di uno tra i più citati scandali italiani, un esempio di spreco pubblico più volte bersagliato da “Striscia la notizia”.
Cocciuti e determinati i nostri “Signori Rossi dell’arte” hanno da subito provato a contattare l’Inps, incappando come immaginabile in vari rimbalzi, dirottati da questo a quell’ufficio, da questo a quel responsabile. Fin a raggiungere prima il Settore Patrimonio della sede nazionale dell’Istituto (a Roma), che ha rimandato all’Ufficio Legale dell’Inps. Qui, la situazione si è fatta seria. Per l’Inps Paratissima non era considerata un interlocutore affidabile, così gli organizzatori indomiti hanno coinvolto il Settore Patrimonio della Città di Torino nel ruolo di “intermediario”. Il Comune ha perciò inviato all’Inps, lo scorso giugno, la richiesta formale per l’uso dei locali. Tutto sembra filare liscio: quelle saracinesche sarebbero state alzate e i locali avrebbero respirato durante Paratissima, trasformati in location espositive. Dopo l’iniziale scetticismo, anche i residenti e i commercianti di Borgo Filadelfia cominciavano a crederci.
Intanto l’Inps ha cominciato a chiedere a sua volta al Comune di Torino una serie di garanzie, probabilmente di prassi: nessun costo da sostenere, l’impegno a restituire i locali nelle condizioni in cui si l’Inps li concedeva (a oggi piuttosto “malandati”, per usare un eufemismo) e poi una “cauzione” inizialmente non meglio precisata. Sono gli stessi organizzatori di Paratissima a proporre una valorizzazione: 10mila euro di cauzione (2mila euro a locale, per i 5 giorni dell’evento), cifra elevatissima considerando la mole di lavoro da investirci per renderli utilizzabili.
Paratissima è un’idea dell’associazione Ylda, che non ha scopo di lucro, e non ha neppure 10mila euro a disposizione, dunque ricorrerebbe a una fideiussione assicurativa.
Ma a questo punto, a ottobre inoltrato, arriva dall’Inps una nuova replica, che ha dell’incredibile. L’ente di previdenza, per voce dell’Ufficio Legale, chiede infatti di sostituire la specifica sulla fideiussione con la stipula di un contratto di garanzia da 1 milione e mezzo di euro. Avete letto bene.
In altre parole, hanno valorizzato l’uso per 5 giorni di 5 locali sfitti da molti anni per un totale di 150 metri quadrati circa, la cifra sbalorditiva di 1 milione e mezzo di euro: 10mila euro il metro quadro. Come i prezzi immobiliari di Parigi e New York, tanto per citare le due principali città per l’arte mondiale. E non dite che gli enti pubblici italiani non hanno una caratura internazionale!
Per gli organizzatori, onesti e intraprendenti, la cifra corrisponde ai costi di circa 13 edizioni di Paratissima. Forse è un “tantino” esagerata. Allora, che fare? Il Comune di Torino non può farci più di tanto, visto che la proprietà è dell’Inps. Ma quindi è possibile che le nostre Istituzioni perdano un’altra grande opportunità per combattere lo spreco? Possibile che nella burocrazia pubblica l’indifferenza (o la scarsa conoscenza delle situazioni, per non dire di peggio, tirando in ballo le competenze e la cultura…) generi tanto distacco dall’utilità pubblica e sociale?
E ora gli organizzatori di Paratissima si sono armati di tintura virtuale e stanno dipingendo virtualmente le serrande, come artistici murales. Le saracinesche abbassate vengono reinterpretate da 600 artisti che si sono iscritti a Paratissima 2012 e che esporranno nel quartiere di Borgo Filadelfia per i 5 giorni dell’evento.
E poi, insieme a noi Signori Rossi – Corretti non corrotti (www.signorirossi.it), vogliamo far coinvolgere la cittadinanza attiva – persone che condividono gli stessi valori e che vogliono promuovere la cultura dell’etica e della valorizzazione nella pubblica amministrazione – in una campagna di sensibilizzazione “artistica” (www.facebook.com/Paratissima) contro lo spreco e a favore dello sviluppo dei territori.
Per questo chiediamo a tutti di far girare questa notizia e di condividere su web e social network le “opere virtuali” delle serrande virtualmente rivisitate dagli artisti.
“Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti”
E’ il caso di prendersi qualche minuto e dare una lettura. Che ne dite? E magari pure qualche secondo in più per condividere e stimolare altri a leggere. Specie quelli che di solito non leggono. Se proprio vogliamo fare le cose per bene, parliamone ai nostri figli…
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“Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti”
di Italo Calvino* FONTE: MICROMEGA newsletter del 16/10/2012
Nel finanziarsi per via illecita, ogni centro di potere non era sfiorato da alcun senso di colpa, perché per la propria morale interna ciò che era fatto nell’interesse del gruppo era lecito; anzi, benemerito: in quanto ogni gruppo identificava il proprio potere col bene comune; l’illegalità formale quindi non escludeva una superiore legalità sostanziale. Vero è che in ogni transizione illecita a favore di entità collettive è usanza che una quota parte resti in mano di singoli individui, come equa ricompensa delle indispensabili prestazioni di procacciamento e mediazione: quindi l’illecito che per la morale interna del gruppo era lecito, portava con se una frangia di illecito anche per quella morale. Ma a guardar bene il privato che si trovava a intascare la sua tangente individuale sulla tangente collettiva, era sicuro d’aver fatto agire il proprio tornaconto individuale in favore del tornaconto collettivo, cioè poteva senza ipocrisia convincersi che la sua condotta era non solo lecita ma benemerita.
Il paese aveva nello stesso tempo anche un dispendioso bilancio ufficiale alimentato dalle imposte su ogni attività lecita, e finanziava lecitamente tutti coloro che lecitamente o illecitamente riuscivano a farsi finanziare. Perché in quel paese nessuno era disposto non diciamo a fare bancarotta ma neppure a rimetterci di suo (e non si vede in nome di che cosa si sarebbe potuto pretendere che qualcuno ci rimettesse) la finanza pubblica serviva a integrare lecitamente in nome del bene comune i disavanzi delle attività che sempre in nome del bene comune s’erano distinte per via illecita. La riscossione delle tasse che in altre epoche e civiltà poteva ambire di far leva sul dovere civico, qui ritornava alla sua schietta sostanza d’atto di forza (così come in certe località all’esazione da parte dello stato s’aggiungeva quella d’organizzazioni gangsteristiche o mafiose), atto di forza cui il contribuente sottostava per evitare guai maggiori pur provando anziché il sollievo della coscienza a posto la sensazione sgradevole d’una complicità passiva con la cattiva amministrazione della cosa pubblica e con il privilegio delle attività illecite, normalmente esentate da ogni imposta.
Di tanto in tanto, quando meno ce lo si aspettava, un tribunale decideva d’applicare le leggi, provocando piccoli terremoti in qualche centro di potere e anche arresti di persone che avevano avuto fino a allora le loro ragioni per considerarsi impunibili. In quei casi il sentimento dominante, anziché la soddisfazione per la rivincita della giustizia, era il sospetto che si trattasse d’un regolamento di conti d’un centro di potere contro un altro centro di potere.
Cosicché era difficile stabilire se le leggi fossero usabili ormai soltanto come armi tattiche e strategiche nelle battaglie intestine tra interessi illeciti, oppure se i tribunali per legittimare i loro compiti istituzionali dovessero accreditare l’idea che anche loro erano dei centri di potere e d’interessi illeciti come tutti gli altri.
Naturalmente una tale situazione era propizia anche per le associazioni a delinquere di tipo tradizionale che coi sequestri di persona e gli svaligiamenti di banche (e tante altre attività più modeste fino allo scippo in motoretta) s’inserivano come un elemento d’imprevedibilità nella giostra dei miliardi, facendone deviare il flusso verso percorsi sotterranei, da cui prima o poi certo riemergevano in mille forme inaspettate di finanza lecita o illecita.
In opposizione al sistema guadagnavano terreno le organizzazioni del terrore che, usando quegli stessi metodi di finanziamento della tradizione fuorilegge, e con un ben dosato stillicidio d’ammazzamenti distribuiti tra tutte le categorie di cittadini, illustri e oscuri, si proponevano come l’unica alternativa globale al sistema. Ma il loro vero effetto sul sistema era quello di rafforzarlo fino a diventarne il puntello indispensabile, confermandone la convinzione d’essere il migliore sistema possibile e di non dover cambiare in nulla.
Così tutte le forme d’illecito, da quelle più sornione a quelle più feroci si saldavano in un sistema che aveva una sua stabilità e compattezza e coerenza e nel quale moltissime persone potevano trovare il loro vantaggio pratico senza perdere il vantaggio morale di sentirsi con la coscienza a posto. Avrebbero potuto dunque dirsi unanimemente felici, gli abitanti di quel paese, non fosse stato per una pur sempre numerosa categoria di cittadini cui non si sapeva quale ruolo attribuire: gli onesti.
Erano costoro onesti non per qualche speciale ragione (non potevano richiamarsi a grandi principi, né patriottici né sociali né religiosi, che non avevano più corso), erano onesti per abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso. Insomma non potevano farci niente se erano così, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro, se la loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il guadagno col lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione d’altre persone. In quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto loro erano i soli a farsi sempre degli scrupoli, a chiedersi ogni momento cosa avrebbero dovuto fare. Sapevano che fare la morale agli altri, indignarsi, predicare la virtù sono cose che trovano troppo facilmente l’approvazione di tutti, in buona o in malafede. Il potere non lo trovavano abbastanza interessante per sognarlo per sé (almeno quel potere che interessava agli altri); non si facevano illusioni che in altri paesi non ci fossero le stesse magagne, anche se tenute più nascoste; in una società migliore non speravano perché sapevano che il peggio è sempre più probabile.
Dovevano rassegnarsi all’estinzione? No, la loro consolazione era pensare che così come in margine a tutte le società durante millenni s’era perpetuata una controsocietà di malandrini, di tagliaborse, di ladruncoli, di gabbamondo, una controsocietà che non aveva mai avuto nessuna pretesa di diventare la società, ma solo di sopravvivere nelle pieghe della società dominante e affermare il proprio modo d’esistere a dispetto dei principi consacrati, e per questo aveva dato di sé (almeno se vista non troppo da vicino) un’immagine libera e vitale, così la controsocietà degli onesti forse sarebbe riuscita a persistere ancora per secoli, in margine al costume corrente, senza altra pretesa che di vivere la propria diversità, di sentirsi dissimile da tutto il resto, e a questo modo magari avrebbe finito per significare qualcosa d’essenziale per tutti, per essere immagine di qualcosa che le parole non sanno più dire, di qualcosa che non è stato ancora detto e ancora non sappiamo cos’è.
* da Repubblica, 15 marzo 1980 e in “Romanzi e racconti, volume terzo, Racconti e apologhi sparsi”,Meridiani,Mondadori