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Ma quanto mi rubi? (Sprechi di Stato)

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Transparency International – L’Italia scivola al 67esimo posto per la lotta alla corruzione

Transparency International è un’organizzazione non governativa che opera a livello mondiale per combattere la corruzione. Ogni anno pubblica il Global Corruption Report, un rapporto sul livello di corruzione in vari Paesi.

Nel Corruption Perception Index del 2010 il nostro paese figura al 67esimo posto (su 178) nella classifica dei paesi maggiormente impegnati nella lotta alla corruzione. Tanto per capire, fanno meglio di noi stati come il Cile, Israele, Turchia, Tunisia e Rwanda.

Sempre questo rapporto, tra i tanti problemi, si è occupato di un particolare aspetto della corruzione: le conseguenze che ha sui cambiamenti climatici. Dal momento che le politiche ecologiche sono ancora – purtroppo – una novità per i governi mondiali, vengono a mancare leggi chiare che possano tenere basso il rischio di corruzione in un campo così delicato e importante per la vita e la salute di miliardi di persone.

Il rapporto elenca una serie di elementi chiave in questo processo. Innanzitutto la creazione di strumenti necessari per garantire l’autonomia degli organismi di controllo, evitando così conflitti di interesse fra politica e industria. Concetto basilare, così come la trasparenza nella gestione dei nuovi progetti e una maggiore chiarezza nelle politiche ecologiche dei governi. In pratica i governi dovrebbero smetterla di giocare con i numeri, esponendo dati chiari e precisi sull’inquinamento, sui costi di determinati progetti, sui metodi utilizzati nell’assegnazioni di progetti importanti, che spesso finiscono nelle mani di compagnie poco affidabili.

Altra parte interessante del rapporto è il ruolo che ha la società civile. Le organizzazioni di cittadini onesti, che decidono di mettersi in gioco, nel loro piccolo, per combattere questo fenomeno tentacolare, sono ottime soluzioni per risvegliare le coscienze e attirare l’attenzione su casi altrimenti sconosciuti. In questo i Signori Rossi possono sicuramente dirsi soddisfatti.

Per chi volesse informarsi maggiormente, questi sono i link di Trasparency International http://www.transparency.org/e della sezione italiana http://www.transparency.it/

Del 2010 butto la corruzione

(dal blog di Raphael Rossi su Il Fatto Quotidiano)

Perché chi rinuncia a una tangente come me passa per stupido o traditore? Perché è così anomalo denunciare la corruzione? Quali sono le condizioni che lo renderebbero normale? Al mio 2011 chiedo di rispondere a queste domande.

“Cosa butti del 2010?”: in questi giorni di feste e di vicinanza ai miei cari, più persone mi hanno posto questa domanda, quasi ad alleviare la tensione che mi porto dietro da quando è iniziato il processo che ormai conoscete.

E per di più nell’udienza preliminare, che riprenderà l’11 gennaio, è emerso che il caso sarebbe anomalo, vi è infatti pochissima giurisprudenza, cioè, sono pochi gli amministratori pubblici che denunciano altri amministratori pubblici per tentativi di corruzione.

Ecco, è questo che butterei del 2010: in una nazione come l’Italia gli amministratori pubblici non denunciano la corruzione.

Nei casi di tangenti è la parte privata, cioè il corruttore, a denunciare le tangenti e non la parte pubblica, cioè chi si vede offerte le tangenti. Questa verità mi ha colpito perché avrei pensato che in caso di malaffare fra chi rappresenta lo Stato, e quindi gli interessi collettivi, e chi rappresenta un interesse particolare, sarebbe stata la parte pubblica a trovarsi nelle condizioni di denunciarlo, anche perché un pubblico ufficiale a differenza di un comune cittadino quando viene a conoscenza di un crimine ha il dovere di intervenire.

Il problema è che la corruzione è un reato a cifra nera elevata per cui è molto alta la differenza fra i delitti commessi e quelli rilevati. La corruzione, cioè, può essere scoperta solo se uno dei partecipanti al reato sporge denuncia, altrimenti è quasi impossibile provarla.

Allora chi è che non accetta la tangente, se sa di farla franca?

Nell’intervista di pochi giorni fa su La Stampa il magistrato Giancarlo Caselli affermava che per mafia e corruzione si denuncia troppo poco. Mi è difficile non collegare la sua testimonianza alla mia vicenda, cioè alla difficoltà, una volta trovatomi in mezzo a uno di quegli episodi di corruzione, a sopportare le conseguenze della mia denuncia, dal mio ex luogo di lavoro fino al tribunale.

Tanto più che la corruzione è pericolosa perché è seriale (cioè i reati vengono ripetuti più volte dalle stesse persone) ed è diffusiva (cioè dove c’è un corrotto presto o tardi ce ne saranno altri). Come a dire che è una regola a cui devi sottacere.

Questa situazione non è più tollerabile, la corruzione è una “tassa occulta” di quasi mille euro all’anno per ogni cittadino, neonati compresi.

Essere amministratori pubblici, per me, vuol dire lavorare al servizio della comunità, operare nell’interesse generale, essere equi, affidabili e depositari della fiducia dei cittadini.

Per questo è necessario lavorare per rendere più facile la denuncia della corruzione. L’Ocse stessa chiede ai paesi membriProcedure chiare e conosciute, atte a facilitare la segnalazione di un comportamento contrario all’etica e a prevedere nello stesso tempo la protezione dei dipendenti pubblici che segnalano un’infrazione.

E visto che non c’è giurisprudenza e ho “l’onore” di essere uno dei pochi amministratori pubblici ad aver denunciato la corruzione, il buon proposito per il 2011 è capire come facilitare le denunce di chi si ritroverà nella mia stessa condizione.

E così del 2010 salvo le vostre 50.000 firme, le idee e le testimonianze sul gruppo di Facebook “Vogliamo giustizia nel processo di Raphael Rossi”, e questo prezioso blog per continuare la lotta contro la corruzione e affinché le Istituzioni vi si oppongano seriamente.