La corruzione inconsapevole che affonda il Paese – Roberto Saviano

(da Repubblica)

Oggi l’imprenditore si chiama Romeo, domani avrà un altro nome, ma il meccanismo non cambierà, e per agire non si farà altro che scambiare, proteggere, promettere di nuovo. Perché cosa potrà mai cambiare in una prassi, quando nessuno ci scorge più nulla di sbagliato o di anomalo. Che un simile do ut des sia di fatto corruzione è un concetto che moltissimi accoglierebbero con autentico stupore e indignazione. Ma come, protesterebbero, noi non abbiamo fatto niente di male!

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SOS corruzione: Quando un dipendente o amministratore d’azienda può considerarsi “pubblico ufficiale”?

LA VOSTRA DOMANDA – “Quando un dipendente o amministratore d’azienda può considerarsi “pubblico ufficiale”?”

La risposta degli esperti di SOS CORRUZIONE .

NOZIONE di SERVIZIO PUBBLICO

La nozione di esercizio di un pubblico servizio postula l’espletamento di attività direttamente rivolte al soddisfacimento di bisogni generali della collettività.

“Il servizio pubblico comprende tutte quelle attività lato sensu economiche, soggette ad un particolare regime per la rilevanza sociale degli interessi perseguiti indipendentemente dall’imputazione soggettiva a pubblici poteri.” (voce tratta da “Francesco Caringella, Il diritto amministrativo, 2001, pag. 902″)

Alla base di queste interpretazioni anche un imprenditore privato può svolgere attività di servizio pubblico, purché sia ad esso espressamente autorizzato, senza, peraltro, che il pubblico potere in capo alla Pubblica Amministrazione venga meno.

Può considerarsi “pubblico” sia il servizio assunto da un soggetto qualificabile come ente pubblico, che il servizio svolto in ragione dell’attività espletata ed indipendentemente dal soggetto che la espleta o al quale l’attività stessa è istituzionalmente collegata.

Al pari delle funzioni pubbliche anche le attività volte al soddisfacimento di bisogni collettivi (si pensi all’assistenza sanitaria, agli enti creditizi e bancari, alle assicurazioni, all’ istruzione), possono essere esercitate, oltre che dalla P.A., anche da altri soggetti privati attraverso la predisposizione di un’organizzazione economico-imprenditoriale, sempre su delega della Pubblica Amministrazione.

Deriva da ciò che non risulta sempre rilevante, quindi, la natura del soggetto erogante il servizio per poter definire lo stesso come pubblico, trattandosi infatti di attività di erogazione di servizi in favore della collettività che si definiscono in senso lato economiche, data la loro astratta attitudine a far conseguire agli operatori un utile.

A fondamento dell’esercizio del servizio pubblico sta l’art. 41 Cost. laddove la nostra Carta Costituzionale riserva alla legge di “determinare i programmi ed i controlli opportuni perché l’attività pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

In questo senso, va sottolineato come sia sempre la legge, costituzionale e ordinaria, a fissare gli obiettivi, mentre la Pubblica Amministrazione, nella discrezionalità che le è riconosciuta, sceglie il modo per perseguirli. Ne deriva che la P.A. è sempre sottoposta e vincolata alla legge.

INCARICATO DI PUBBLICO SERVIZIO

Per incaricato di pubblico servizio si intende chi, pur non essendo propriamente un pubblico ufficiale con le funzioni proprie di tale status (certificative, autorizzative, deliberative), svolge comunque un servizio di pubblica utilità presso organismi pubblici in genere.

La Guardia Particolare Giurata , che lavora alle dipendenze di un istituto di vigilanza privato, è diventata “incaricata di pubblico servizio” a seguito del decreto legge del 8/04/08, quindi anche quest’ultima è soggetta agli stessi obblighi di legge a carico del pubblico ufficiale, pur non avendo gli stessi poteri certificativi, autorizzativi e deliberativi.

All’incaricato di pubblico servizio sono applicabili gli artt. 336 c.p. (violazione o minaccia a pubblico ufficiale) e 337 c.p. (resistenza a pubblico ufficiale). 

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SOS corruzione: “Come difendersi da un’azienda che trattiene una parte dello stipendio come “commissione”?

LA VOSTRA DOMANDA: Per assumermi in una azienda privata un responsabile aziendale mi ha chiesto di pagargli in nero una “commissione” pari ai due primi stipendi… di che reato si tratta?  

La risposta degli esperti di SOS corruzione.
Il responsabile aziendale commette reato di tentata estorsione (artt. 56 e 629 c.p.), in quanto tende a farsi corrispondere una somma che non gli spetta sotto la minaccia del “o mi dai questi soldi o non ti assumo”. Se il denaro viene dato, si realizza l’estorsione.

Art. 629.
Estorsione.

Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 516 a ero 2.065.
La pena è della reclusione da sei a venti anni e della multa da euro 1.032 a euro 3.098 se concorre taluna delle circostanze indicate nell’ultimo capoverso dell’articolo precedente.

Art. 56.
Delitto tentato.

Chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica.
Il colpevole di delitto tentato è punito:; con la reclusione non inferiore a dodici anni, se la pena stabilita è l’ergastolo; e, negli altri casi con la pena stabilita per il delitto, diminuita da un terzo a due terzi.
Se il colpevole volontariamente desiste dall’azione, soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano per sé un reato diverso.
Se volontariamente impedisce l’evento, soggiace alla pena stabilita per il delitto tentato, diminuita da un terzo alla metà.

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SOS corruzione: “Come comportarsi in caso di corruzione tra privati?”

LA VOSTRA DOMANDA – “Opero nel settore privato in veste di procacciatore d’affari – se un dipendente di una società privata mi chiede un certo importo per far lavorare la mia azienda come mi devo comportare? Quali sono i primi atti da porre in essere soprattutto in forza del fatto che l’azienda rappresentata dal mio potenziale Cliente adotta e pubblicizza l’adozione di un codice etico?”

La risposta degli esperti di SOS CORRUZIONE .
La risposta starebbe nelle parole del procuratore antimafia Grasso  che l’anno scorso invitò il legislatore a punire anche la corruzione tra privati. In realtà esiste nell’ordinamento europeo una decisione quadro che invita gli stati membri a punire e reprimere il fenomeno della corruzione tra soggetti privati, in quanto  attività anticoncorrenziale e pertanto lesiva della libertà economiche. 

Infatti il testo  della decisione – quadro n. 568 del 22 luglio 2003 ha previsto che gli stati membri hanno il dovere di punire le seguenti condotte, rientranti per l’appunto nella fattispecie della corruzione tra privati:

a) promettere, offrire o concedere, direttamente o tramite un intermediario, un indebito vantaggio di qualsiasi natura ad una persona, per essa stessa o per un terzo, che svolge funzioni direttive o lavorative di qualsiasi tipo per conto di un’entità del settore privato, affinché essa compia o ometta un atto in violazione di un dovere; e poi

b) sollecitare o ricevere, direttamente o tramite un intermediario, un indebito vantaggio di qualsiasi natura, oppure accettare la promessa di tale vantaggio, per sé o per un terzo, nello svolgimento di funzioni direttive o lavorative di qualsiasi tipo per conto di un’entità del settore privato, per compiere o per omettere un atto, in violazione di un dovere.

Allo stesso tempo vengono previste ulteriori pene nel caso in cui i soggetti che compiano atti corruttivi siano preposti a ruoli dirigenziali all’interno di persone giuridiche, per cui la responsabilità penale sarà a capo di queste società ex legge 231/2001.

Tuttavia ad ora il nostro legislatore non ha ancora provveduto a far seguito a tale decisione, sebbene da più parti siano sorte voci affinchè venisse inserita nel nostro ordinamento una fattispecie penale relativa alla corruzione tra privati.

Il comportamento antietico che emerge dalla lettera potrebbe avere una rilevanza civilistica configurando una responsabilità precontrattuale (art. 1337 c.c.). L’interesse tutelato in questo caso sarebbe  solamente un interesse negativo consistente nel risarcimento del danno pari alle spese sostenute e alla perdita di tempo per le trattative non andate a buon fine a causa del comportamento scorretto dell’altra parte.

Come si vede il nostro ordinamento attualmente ritiene la corruzione tra privati una semplice questione di malafede, disinteressandosi del fatto che la medesima sia assolutamente distorsiva dell’economia e anticoncorrenziale, facendo orecchie da mercanti anche ai richiami che sopraggiungono dall’Unione Europea.

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SOS corruzione: “La corruzione esiste tra privati?”

LA VOSTRA DOMANDA:  “La corruzione esiste tra privati nell’ordinamento italiano?”

La risposa degli esperti di SOS CORRUZIONE
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No, la corruzione, nell’ordinamento penale italiano, non esiste tra privati, in quanto definisce la corruzione il reato realizzato dal pubblico ufficiale che riceve denaro o altra utilità, per sé o per altri, in cambio del compimento di atto del proprio ufficio (art. 318 c.p.), oppure di atto contrario al proprio ufficio (art. 319 c.p.). Quest’ultima ipotesi è sanzionata più gravemente.

Art. 318.
Corruzione per un atto d’ufficio.

Il pubblico ufficiale, che, per compiere un atto del suo ufficio, riceve, per sé o per un terzo, in denaro od altra utilità, una retribuzione che non gli è dovuta, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Se il pubblico ufficiale riceve la retribuzione per un atto d’ufficio da lui già compiuto, la pena è della reclusione fino a un anno.

Art. 319.
Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio.

Il pubblico ufficiale che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da due a cinque anni.

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